I luoghi del Sud: Palagianello.

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Ebbene si! Tra i posti che preferisco del nostro Sud al primo posto ci metto il paesino più piccolo del versante occidentale della provincia di Taranto, Palagianello. Eh si quello che spesso viene classificato dagli autoctoni come “quel posto in c..o al mondo” è il mio posto preferito al Sud. Quando mi ritrovo addentrato nella sua pineta a ridosso della gravina, tra il profumo pungente del rosmarino *, dell’origano ** e del timo, all’orizzonte il mar Ionio (la culla della Magna Grecia) e in alto un cielo terso, che più azzurro non si può, sono in pace con me stesso.
Sarà sicuramente per ragioni affettive, per un condizionamento assolutamente soggettivo.

Mi vengono in mente le note di un noto gruppo musicale locale (i Terraross)
“u pais addò so net c lu vid iè n’amor, u pais addò so net mu portc semp int allu core…”. Tecnicamente non ci sono nato, come nemmeno i miei genitori o i miei parenti, ma ci sono cresciuto, anche se di striscio dato che scuole superiori, università e lavoro mi hanno visto migrante.

A 30 anni ho scoperto che la sua gravina non finiva alla prima insenatura delimitata dal “pilone” ma proseguiva per chilometri, tra pareti rocciose che sembrano kenyon, grotte con affreschi di santi, villaggi rupestri abbandonati a se stessi, reperti archeologici (conchiglie enormi di chissà quale epoca). In Germania o a Brescia (tanto per dirne una) ci avrebbero fatto pellegrinaggi, percorsi, scuole di arrampicate, una riserva faunistica, un sito di importanza nazionale e chi più ne ha, più ne metta. A Palagianello invece vige il fai-da-te. Scendi abusivamente dalle scale dell’acquedotto e cammini per percorsi scoscesi, con buone probabilità di finire gambe all’aria su di un cuscino di rovi.

* letteralmente “rugiada del mare”, “rosa del mare”, “arbusto del mare”. Secondo una leggenda i fiori del rosmarino una volta erano bianchi: divennero azzurri quando la Madonna, durante la fuga in Egitto, lasciò cadere il suo mantello su una pianta di rosmarino.
** letteralmente “delizia della roccia”.

PARTIAMO DALLA GEOGRAFIA.

Ci troviamo naturalmente in Puglia: l’uliveto più grande del mondo (circa 60 milioni di alberi, uno per ogni italiano. Alcuni dei quali, alla veneranda età di 2000 – 2500 anni, ancora in produzione). La terra degli alberi che camminano: il tronco degli ulivi, cresce nei secoli, fino a dividersi in tre, quattro parti che diventano autonome e si allontanano dal centro originario, rigenerandosi dalla parte illuminata. Interessante metafora degli uomini del Sud.

Geologicamente era – ed uso il passato di proposito – un pezzo di deserto. E non il giardino d’Italia da cui attingere primizie e abbondanze, convinzione diffusa un po’ per tutto il Sud.
La Puglia, eccezion fatta per il Gargano e la Foresta Umbra, è Murgia: uno sterminato altopiano di sassi e macigni. Persino i Romani, quelli che hanno costruito le terme in Ungheria e in Britannia, non riuscirono a trarne profitto. Oggi quelli stessi altipiani non sono più deserto. In millenni i pugliesi li hanno spietrati: l’opera di matti ha reso coltivabile il deserto che sconfisse i Romani. La terra dei più grandi arido-cultori del Mediterraneo, capaci di tirar su tesori vegetali catturando l’umidità dell’aria di notte, nella sterminata ragnatela di muretti a secco (il ricavato di estati ed estati roventi di “spietramento”) che la attraversano. Leggo di agronomi israeliani, quelli che hanno messo a coltura il deserto del Negev, ospiti nelle masserie pugliesi.

Palagianello è immersa nel Parco Naturale della Terra delle Gravine e fa parte del Gruppo di Azione Locale “i Luoghi del Mito”, progetto nato sotto il programma LEADER+ dell’ Unione Europea. Per me si trova al centro di un triangolo i cui vertici sono Taranto, Matera, Gioia del Colle, la cui base è il mar Ionio e l’altezza è l’omonima gravina. Le gravine sono profonde gole rocciose di origine carsica, che partono dall’altopiano murgiano e si dirigono verso il mare, memoria di antichi fiumi che oggi si riformano solo occasionalmente, dopo abbondanti piogge.

Le consistenti altezze e le notevoli pendenze dei versanti delle gravine, nonché il loro particolare microclima, hanno permesso nel tempo la conservazione di habitat straordinariamente ricchi, sia come flora (grazie al mio prof delle scuole medie, fonte inesauribile, ho scoperto che vi sono numerose specie di orchidee selvatiche) che come microfauna.

Non esiste altrove, in tutta l’Europa occidentale, un’area con un’analoga concentrazione di insediamenti rupestri e siti archeologici, con ricchezze naturalistiche e fenomeni carsici di simile rilevanza, con un paragonabile patrimonio di biodiversità. (Copio dal sito del Parco delle Gravine)

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PROSEGUIAMO CON LA STORIA.

Le impervie caratteristiche morfologiche delle gravine, la presenza di numerose grotte con caratteristiche di stabilità termica e il peculiare microclima hanno favorito l’insediamento umano, dal periodo Neolitico fino agli anni ’50, con un forte concentramento nel periodo medioevale.

Numerosissimi e preziosi i villaggi rupestri, dove le case-grotta mantenevano caratteristiche di continuità con i terrazzamenti, coltivati ad orti. Chiese, cripte e santuari presentano spesso splendide icone di stile bizantino, rappresentanti la Vergine, Cristo Pantocratore, Santi e Martiri.

Per duemila degli ultimi quattromila anni, fiorì nel Mezzogiorno, in maniera non continuativa, una ricchissima civiltà rupestre: intere città scavate nella grotta (i sassi di Matera ne rappresentano la parte più settentrionale). La gente ricavò palazzi a più piani scavando nella friabile roccia tufacea, non costruendo ma asportando. E non erano cavernicoli ma popolazioni colte, civili, guidate da monaci di rito bizantino cui si aggiunsero quelli in fuga dall’Impero d’Oriente e poi dalla Sicilia e dalla Calabria, per le incursioni saracene. Città che si resero invisibili (anche chiese a tre navate) per sfuggire alle razzie dei barbari dopo la fine dell’ordine garantito da Roma. Comunità con rito ortodosso, che parlavano greco, avevano una florida economia, affreschi, in stile basiliano, i cui colori e la perfezione ieratica hanno resistito sino ad oggi.

Poi vennero i normanni, le fortificazioni in alto, i monaci benedettini, i riti latini. E la civiltà rupestre, tutto quello che sapeva, fu dimenticata, quasi rinnegata – un po’ come la storia del Sud d’Italia ante Unità. E così si hanno basiliche trasformate in ovili, pareti dipinte annerite dai fuochi dei pastori, ambienti scavati a mano divenuti depositi o cantine, sfregi di ragazzini.

Per la storia più recente vi lascio a Wikipedia.

FERMIAMOCI A TAVOLA.

Dopo questa fatica mentale non ci resta altro che sederci a tavola. E la cucina non è altro che lo specchio del territorio e della storia che lo rappresenta.
E così tornando al triangolo immaginario, al cui centro si trova Palagianello, ritroviamo un’identità eno-gastronomica influenzata dai più punti. Evoco solo i prodotti del mio menù ideale.

Partiamo con i capolavori caseari del basso barese (mozzarelle, scamorze fresche, stracciatella, cavallucci*) accompagnati dai prodotti da forno tipicamente laertini (taralli, friselle, il cornetto di Laterza), il pane di Matera (enormi ruote, cotte su pietra, dalla crosta croccante e la mollica pastosa e dalle evidenti conche di lievitazione dove si insedia incontrastato l’olio di oliva), la meravigliosa focaccia (ad Altamura ha fatto chiudere il Mc Donald’s sorto lì vicino). Di fianco le verdure di campo amarognole (zanconi, cicorielle, spaccapietre) mischiate, per chi piace, con il “purè di fave e i tipici prodotti sottolio mediterranei, e i funghi “altari” (io li chiamo così) gratinati al forno.

Per il primo ci spostiamo verso il mare e Taranto: cavatelli ai frutti di mare. O possiamo optare per i classici: riso patate e cozze? Orecchiette e cime di rapa? Il sugo della nonna?

Come seconda portata ci rifacciamo interamente al classico “fornello” (non me ne vogliano i “non onnivori”) : capocollo di Martina Franca, spiedini misto maiale cinghiale, salsiccia, bombette, diaframma di cavallo con cipolla rossa e naturalmente gli “gnummariedd”. Un eccidio praticamente. Compensiamo con degli ortaggi introvabili: insalate di catalogne e “casurielli” o cocomeri che dir si voglia.

Naturalmente stiamo unendo il tutto con del pastoso primitivo amabile (15 gradi bastano?) o del bianco frizzantino di Taranto.

Per finire, frutta a volontà (ciliegie ferrovia, anguria, fichi, uva Italia dagli acini che sembrano susine, melograni, mandorle fresche) e dolci della tradizione a seconda del periodo (purcidduzz, cartellate, i ricci di mandorle, i fichi “maritati”, i “piscuottoli” glassati di cioccolato). Concludiamo in bellezza con caffè e amaro lucano (lo fanno a Pisticci, è quasi a km zero).

POSTI DA VEDERE.

E dopo pranzo, una bella passeggiata e vediamo i luoghi di maggiore interesse.
Non si può che partire dalla nuova piazza, centro del paese. Chiacchiericci non ufficiali dicono sia la più grande della Puglia (sarà vero?). Sorta al posto della vecchia, dismessa stazione ferrovia ha rifatto il look del Paese. Ancora molto ci sarebbe da fare, in particolare integrarla con le attività economiche, sociali e sportive del Paese, ma è già un buon inizio.

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Dalla piazza ci spostiamo verso nord, risalendo corso Repubblica, per raggiungere la parte più vecchia dell’abitato recentemente riqualificato. il casale rinascimentale è disposto a forma di quadrilatero, con portale d’ingresso con orologio, e al suo centro la Chiesa di San Pietro, dalle linee estremamente essenziali e più in alto il Castello Stella Caracciolo; monumenti più antichi e rappresentativi del Paese.

Il castello, con la sua massiccia pianta quadrangolare, munita di quattro torrioni agli angoli e di un cortile centrale, possiede tutte le caratteristiche strutturali difensive dei fortilizi del XVI. Nel 1874 il vecchio ingresso venne chiuso per ricavarne una cappella in onore della Vergine dei sette dolori.
È presente al suo interno una botola con passaggio sotterraneo segreto che conduce fino alla gravina. Leggende narrano di una 99^ stanza nascosta con il tesoro del conte Stella Caracciolo, in realtà morto indebitato per gioco.

Dal castello è facilmente raggiungibile la via Antico Santuario, che si affaccia sul burrone e sul vecchio villaggio rupestre, e termina nei pressi del santuario della Madonna delle Grazie, letteralmente incastonata nella roccia tufacea. La chiesa ingloba i resti di una antica cripta rupestre. La facciata e parte delle volte, della fine del XIX secolo, sono stati recentemente restaurati e ricomposti, in seguito al crollo avvenuto agli inizi degli anni ’70. Al suo interno, come uno scrigno, è contenuto il masso a memoria del crollo.

Dalla piazza del paese possiamo invece dirigerci lungo il nuovo percorso ciclo pedonale, sorto sul percorso dei vecchi binari e che attraversa in direzione est-ovest delle gravinette minori’ dette “Lame”, la piazza di Palagianello, la gravina di Palagianello e quella di Castellaneta. Suggestivi i panorami visibili dai vecchi ponti ferroviari che solcano le gravine. Vox populi affermano che il percorso ciclabile collegherà al termine dei lavori i comuni di Palagianello, Mottola, Castellaneta e Palagiano per un’estensione complessiva di circa 40km.
Seguendo il percorso ciclo pedonale possiamo invece raggiungere la pineta, un’oasi di fresco e odori mediterranei, rimessa a posto nella sua parte principale grazie a fondi europei rientranti nel programma LIFE+ “Natura e biodiversità”. I più coraggiosi, qualità necessaria a causa di quel fai-da-te di cui dicevo all’inizio, possono avventurarsi nella gravina alla scoperta delle chiese e cripte rupestri, grotte, reperti e natura selvaggia.

Dalla parte sud-est del Paese camminando per circa 4 km si raggiunge il villaggio rupestre di Casalrotto, facente parte del Comune limitrofo di Mottola. Spicca in questo articolato complesso rupestre la Chiesa di San Nicola (3 navate scavate nella roccia tufacea) definita la Cappella Sistina della civiltà rupestre del Mediterraneo per la bellezza degli affreschi conservati al suo interno. Fonti ecclesiastiche riferiscono che al suo interno vi sia la prima raffigurazione in Occidente di San Nicola – verificheremo.

Map to S.Nicola

Per un tuffo a mare non c’è che da raggiungere le vicine spiagge di Castellaneta Marina, o di Termitosa che non saranno il Salento, a causa della sabbia scura del fondale, ma ne costituiscono una valida alternativa.

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Nel raggio di 30 km da Palagianello possiamo facilmente raggiungere Matera con i suoi sassi, Alberobello con i suoi trulli (entrambe Patrimonio dell’Umanità), la città di Taranto, che al netto dell’Ilva, offre tantissimo.(ponte girevole, San Cataldo, la città vecchia, il corso), il paese di Castellaneta che ha dato i natali a Rodolfo Valentino o il bellissimo centro storico di Martina Franca.

Per le feste di maggiore importanza copio e incollo dal sito del Comune:

Festa della Madonna delle Grazie (Pasquetta)
Festa di sant’Antonio da Padova a Montedoro (13 giugno)
Festival internazionale del Folklore (fine luglio-inizio agosto)
Fiera di san Martino (seconda domenica di novembre)
Festa della Madonna del Rosario (ottobre)
Estate Palagianellese (periodo estivo)
Mercatino di Natale (dicembre)

*** scamorze e modellate a mo’ di animaletti.

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