Il vecchio e il mare.

Come è cambiato il mare.

C’è stato il mare dell’infanzia.

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Quello che ti ha reso scuro, perché ci andavi ogni giorno.

Quello della bellezza, perché ci trovavi pesci ago, stelle marine, conchiglie esotiche, sogliole. Il mare dell’arrivo in spiaggia e tutto il giorno in acqua. Il mare degli schizzi perpetui, dei tuffi sotto le gambe.

Era il mare dell’abitudine, il mare di tutta l’estate, il mare della famiglia. Il mare che non è week-end, non è villeggiatura. Il mare che senti tuo. Il mare che è la tua casa.

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Era il mare di sera, con tante famiglie riunite, la ricerca della legna, sedie e tavolini, arrosti e parmigiane, lampade a gas e falò. Il mare dell’anguria sotto la sabbia. Tardo pomeriggio, immancabile partita a pallone. Segue bagno con tuffo collettivo nel brodo di acqua. Segue bagno a mezzanotte e storie intorno al fuoco, per finire immancabilmente con le storie di paura. Per poi addormentarsi nelle felpone con braccia forti che ti riportano a casa.

Era il mare di mattina presto. Quando i granchi sono ancora attivi e l’acqua senza increspature. Attendendo il sole e il suo calore. Si piazzava l’ombrellone a ridosso della battigia, vicino al confine degli ombrelloni privati monocolore per avere più spazio a disposizione.

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Era il mare della sabbia. Dei castelli, dei buchi, delle guglie, dei ponti e dei vulcani. Delle bombe di sabbia.

Era il mare dei fratelli e delle sorelle, dei dispetti e dei legami indissolubili. Dei giochi inventati dal nulla: scarafaggi neri, olimpiadi, guerre di acqua e trincee di sabbia. Tuffi, tuffi, capriole, gare di apnea e ancora tuffi.

Era un mare innocente, un mare da dove dovevano trascinarti via, perché ci saresti rimasto per sempre. È un mare che ti è rimasto nell’anima. E il cui sale pervade ancora le tue vene. Sarà una forza latente della tua personalità, inconsapevole e istintiva. Il cui orizzonte sarà l’unità di misura dei sogni futuri. Un tesoro da custodire nella parte più segreta di se stessi e dove ritornare d’inverno o nel mezzo della città per ridisegnare il senso delle cose. Un archetipo.

É il mare dove torni, dove ti addormenti nella sabbia calda, che sprofonda, si smuove e si adegua alla tua forma, altro che materasso. Dove il sole, e il suo beneficio attraversano la pelle, dove l’aria salmastra ti fiacca. Dove ti rigeneri, ti fermi e riparti.

C’è stato il mare dei ragazzi.

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Il mare di maschera e tubo, di spaghettate di telline. Di inaspettate pesche di noci reali e fasulari. Il mare dove giocavi a pallone, pallavolo, pallamano, dove il tuo fisico si é forgiato nella fatica dell’acqua e della sabbia. Il mare di “schiaccia 5” e poi “schiaccia 7” e poi “schiaccia 9”. Dove uscivi dall’acqua tremante, con le mani “riccie”, che, a poterle strizzare, sarebbero state spugne.

Era sempre il mare della sabbia. I castelli diventavano fortezze, le formine bassorilievi di delfini e tartarughe di sabbia. Gli altri bambini che si avvicinavano. Le buche sono diventate voragini, scavate in più giorni. Immancabilmente qualcuno distruggeva le opere d’ingegneria. Il mare degli scherzi. La buca nell’acqua, la vecchietta che inciampa… Ragazzacci!

Il mare dei fucili ad acqua e guai ai passanti. Agguati dalla macchina di ritorno.

Era il mare delle passeggiate, delle prime esplorazioni.
Il mare del pedalò, tuffi. E a metà mattina gelato, ghiacciolo lemonissimo, fior di fragola o calippo. L’ultimo tuffo prima di andare via.

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Il mare dei cavalloni, ogni onda una sfida, ogni onda un tuffo diverso. La risacca che ti tira e poi ti lancia e puoi contrastarla o assecondarla, come la vita.
E ancora sere di famiglie ancora troppo poco imborghesite, di falò e anguria nella sabbia fresca.

C’è stato il mare degli amici.

Motorini, focaccia e via. Gara lungo il tragitto. Marmitte modificate.
Partitone e ciabatte ficcate nella sabbia. Se si é in pochi si opta per una ‘tedesca’.
Partite di rugby, sicuramente qualche ferito.

Il mare del primo lavoro da bagnino abusivo. Doppio cornetto, motorino e via. Il salvataggio del pedalò affondato, la barca a vela spezzata dal vento, il recupero con motoscafo del folle che non riesce a tornare a riva perché controvento. Le regate e la tempesta. Il bagno sotto la pioggia. Le uniche volte che a mare speravi nel brutto tempo. Il cinema all’aperto, le serate danzanti, le partite di beach volley, e i giri in canoa tra le onde che ti portavano sino a riva. Il mare all’alba, a mezzogiorno e al tramonto. Il mare di notte.

Mare tutto il giorno e non ti stanca mai.

E poi il mare della pesca con la rete. A strascico. Risultati incredibili: 15 pescetti per 10 persone. Ma l’importante è stare insieme. Le prese in giro. Il plancton fluorescente mentre porti a largo la rete. I pesci piccoli da ributtare in mare, la razza. Operatore greenpeace all’opera. E occhio alle tracine.

San Lorenzo e le notti sotto le stelle. Birre a testa in giù nella sabbia a formare un cerchio iniziatico. Immancabile l’amico esagerato trovato boccheggiante ubriaco arenato sulla battigia. Tende, felpe e falò.

Pasquetta e il primo bagno gelato. Prove di coraggio. Le prime macchine e le sere a mare a pedinare fanciulle.

C’è stato il mare dell’amore.

Tutto è cominciato con sguardi rubati da un ombrellone all’altro. Le partite in acqua. Gli incontri inaspettati. Gli appuntamenti persi.

Il mare e il campeggio. Il mare ribelle, il mare della libertà. E della spensieratezza.

I tramonti sugli scogli e i propri nomi urlati al vento.

Il mare di notte e la spuma delle onde. I nascondigli tra le barche. I nascondigli tra gli ombrelloni chiusi. I nascondigli tra gli scogli. Il mare proibito. E non aggiungiamo altro.

E la luna. E i baci.

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C’è stato il mare della scoperta.

Il mare dei bagni da solo. Una nuotata fino alla boa e ritorno. Un occhio alle meduse. Un test per un nuovo corpo.

Il mare dei delfini, in Puglia, in Sardegna e senza pensare ti ritrovi a nuotare verso di loro come un bambino e vederli volare sull’acqua a pochi metri da te.

Il mare della Sardegna, il mare da Taranto in giù, e lo snorkeling, le aree marine protette, scogli, sabbia e sassi e un mare che più trasparente non c’è. Ore e ore passate a pelo d’acqua scoprendo mondi incredibili. Pesci arcobaleno, seppie, salpe, polpi, saraghi e orate e altri mille che non conosci. Tuffi dagli scogli, sempre più alti. Percorsi impervi tra gli scogli, promontori e torrette. Tramonti. Tuffi impossibili.

E poi la barca a vela, il vento tra i capelli e il rientro al tramonto. E i delfini che ti seguono. Saltando a pochi metri da te. L’amico vento. Colori nuovi del mare. Le increspature e la barca che si piega da un lato e di bolina stretta, quasi controvento, avverti la felicità. E vaffanculo alle barche a motore.

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Il mare delle spiaggiette sconosciute, delle calette introvabili, di ogni giorno un mare nuovo. Mezza Sardegna.

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C’è stato il mare della riflessione.

Che quell’orizzonte incastonato tra due tonalità di blu, ovunque lo vedrai sarà il mantra della tua serenità. Chiuderai gli occhi e tutti i mari della tua vita torneranno da te. E tutta l’energia immagazzinata scrutandoli sarà nuovamente a tua disposizione.

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E ogni volta che ti tufferai, senza preavviso, l’acqua porterà via gli affanni e le preoccupazioni intrappolandole nei cristalli di sale. Scivoleranno via da te, dalla testa, dal corpo. Prima quelle superficiali, poi quelle più profonde con l’intensità dell’apnea. E riemergendo sarai di nuovo tu, libero da scorie. In un gesto, un rituale antico quanto l’uomo.

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Perché il mare, l’acqua è amica. È come l’abbraccio di una madre, che è sempre lì.

Riflessioni sugli scogli. Riflessioni in apnea e se riesci a non pensare che il tuo corpo è lì a consumare ossigeno, se riesci ad estraniarti, l’apnea si dilata incredibilmente.

Il mare come lotta sociale: spiaggia libera vs ombrelloni privati; colore e disordine vs ombrelloni monocolore ben allineati. Spiagge isolate o spiagge di ammassati.

E le ore passate sulla battigia, il sole che ti entra dentro, la salsedine sulla pelle, il rumore della risacca, le onde che una dietro l’altra ti ipnotizzano.

Il rumore del mare, quello che senti nelle conchiglie. Lo chiamano il rumore bianco ed è un suono primordiale. Uno dei pochi a calmare i bambini, a tranquillizarli e a farli addormentare sereni.

È stato sfondo dei tramonti, delle città di mare, di cenette romantiche, di grotte sul mare, di strapiombi, di dune dorate, di scogli neri di lava e di scogli bianchi di granito.

E i granelli di sabbia, riflessioni sulla piccolezza.

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C’è il mare preconfezionato.

E il mare del week end, un mare vacanziero. Mare degli stabilimenti. Mare come “lista delle cose da fare” per essere cool. Mare a pagamento, parcheggio a pagamento, ristorante a pagamento, ombra a pagamento. Fila gratis.

E il mare delle creme solari. Un tuffo e subito fuori dall’acqua. Altro giro di crema. “Chissà da dove viene questa patina oliosa sulla superficie dell’acqua. Che schifo!”. Altro giro di crema.

E il mare dell’abbronzatura, 6 ore impalate al sole, spray solare, olio solare, lozione dopo sole. Crema idratante. 65 euro.

Il mare delle cicche di sigarette. La spiaggia che la domenica sera è un porcile.
Il mare delle scarpette orride sugli scogli perché se no ti tagli, sanguini e muori.

Un mare che finisce a massimo 10 metri dalla riva. Più in là ci sono meduse, mostri marini e squali. I bambini con salvagente, braccioli, scarpette, cappellino e maglietta. Meglio uno scafandro.

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E il mare delle siringhe nella sabbia, delle infezioni nella sabbia, della sabbia che si appiccica, che è meglio se non la tocchi, che poi te la riporti a casa.

Del mare troppo freddo, troppo sporco, troppo mosso. Troppo caldo oggi, troppo vento, troppo umido. Torniamo a casa.

C’è il mare dei figli.

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Che è lo stesso mare dell’infanzia e dei ragazzi. Ma ci sono meno stelle marine, meno conchiglie, nessuna sogliola, nessun pesce ago. L’acqua è più torbida, la spiaggia libera più stretta, i prezzi del parcheggio più alti.

La voglia di divertirsi la stessa. Magicamente il tempo passa senza capricci.
Il mare che vorresti per sempre.

E c’è il mare dei veleni.

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È il mare degli scarichi a mare, è il mare dell’Ilva.
È il mare di Tempa Rossa. E informatevi e ribellatevi.
Il mare delle petroliere. E delle trivellazioni.
Il mare delle navi. Dei motoscafi.
Il mare dei fusti radioattivi affondati con navi fantasma.
È il mare dei continenti di plastica. Della plastica nei pesci. Dei pesci avvelenati.
Dei fondali distrutti. Delle esercitazioni militari. Delle servitù militari.
È il mare dei detersivi, detersivi, detersivi. Che bella questa schiuma profumata nella lavatrice. Che schifo questa schiumetta nel mare.

È il mare senza accesso, il mare dei ricconi, dei villaggi turistici. Dell’abusivismo edilizio a ridosso del mare. Del cemento che mangia la sabbia.

Della pesca intensiva. Delle meduse tropicali. Di sempre più meduse. Tanto quelle non le pesca nessuno.

E si affoga in questo mare di indifferenza.

Il mare è stato ed è compagno di vita. Non tradirlo. Difendilo.

#Notemparossa #Notrivellazioni