Riprendiamo in mano la nostra terra.

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È da un po’ che non posto nulla ma sono stati giorni di duro lavoro e il tempo è stato poco. Da quando ho ottenuto il trasferimento nella mia Sicilia ho finalmente il tempo per curare la mia terra. Mi piace stasera riflettere anche su questo aspetto: la nostra storia, la storia del sud è anche una storia contadina, un lento scorrere dei secoli tra i ritmi eterni e ciclici della campagna. La nostra è stata una storia di uomini che si alzavano di notte per raggiungere i campi all’alba, uomini che lavoravano da sole a sole sotto lo sguardo di campieri crudeli e implacabili. Feudi immensi dove vigneti e uliveti erano circondati da indistruttibili muretti a secco, un miracolo di statica empirica giunto intatto ai nostri giorni. La nostra è stata la civiltà contadina degli anni cinquanta quando i feudi ormai frammentati erano divenuti piccoli pezzi di terra affidati alle cure di sapienti proprietari che coltivavano direttamente i fondi. Quella sapienza contadina si è tramandata di padre in figlio, un sapere segreto di cui essere gelosi. Mi ricordo di mio padre che cercava i consigli di anziani contadini e otteneva soltanto parole enigmatiche e vaghe. Oggi quella sapienza vorrei averla anch io che improvvisamente mi sono ritrovato a coltivare due ettari di terra. Va avanti da due anni e man mano che sento scorrere il tempo mi rendo conto dell’autenticità di questa vita. Quando sono libero dal servizio o nelle giornate di ferie comincio a lavorare in campagna la mattina presto e finisco la sera…è indescrivibile quella sensazione di stanchezza paga che ti coglie quando l’aria si fa più fresca e la luce del tramonto avvolge la campagna…dura solo pochi minuti ma sono quelli giusti per guardare lontano il mare e l’orizzonte e sentire ogni volta che quella vita è carica di significato. Non è sempre e solo un idillio, la campagna è sudore, fatica, spine, tagli e a volte anche fallimenti: e la cosa più difficile è portare a compimento un orto, zappare, concimare, piantare, innaffiare e proteggere le piante ancora piccole da roditori e uccelli, ma alla fine arriva il raccolto e il sapore dei miei pomodori delle melanzane dei peperoni e delle zucchine del mio orto è diverso e più intenso di quello degli ortaggi del supermercato (non lo dico io ma da due anni me lo sento ripetere dai parenti e dagli amici a cui regalo i miei ortaggi) e un insalata di pomodori appena raccolti la sera ripaga di ogni fatica. E la raccolta delle olive, le serate passate in frantoio, chiacchierando con gli altri contadini, sperando che la resa sia buona e poi vederlo venir fuori e assaggiarlo..è qualcosa che mi rende felice. Mi sembra a volte che nella natura sia iscritto anche il mistero della vita degli uomini: su una parte di terra incolta ho piantato d’inverno filari d’alberi da frutto, erano spogli e per mesi non ho saputo se erano attecchiti, ma ho sentito stringere un nodo alla gola quando una mattina come per miracolo ho ritrovato nel frutteto tutti gli alberi germogliati: un tripudio di foglie giovani e di fiori, allora uno pensa inevitabilmente alla morte e alla rinascita racchiuse in un ciclo senza fine, chissà se per gli uomini è lo stesso. Tutto questo ci appartiene, e di certo c’è da esserne orgogliosi. Dopo anni di decadenza e di abbandono delle campagne, e sono stati soprattutto gli anni 80 e 90, ora mi sembra di cogliere un’inversione di tendenza un ritorno alla terra. Riprendiamo in mano la nostra terra, riportiamola a coltura, facciamo arretrare il cemento e torniamo a vivere in campagna, io l ho fatto e sono soddisfatto della mia scelta. Un saluto e un abbraccio a tutti.