La leggenda di Colapesce.

La leggenda di Colapesce è una leggenda diffusa nell’Italia meridionale con molte varianti, le cui prime attestazioni risalgono al XII secolo.

colapesce

La leggenda napoletana

Nella tradizione napoletana Cola (Nicola) Pesce o Pesce Nicolò è un ragazzo maledetto dalla madre per le sue continue immersioni. Finisce per diventare esso stesso pesce e a squamarsi. Cola cercava rifugio nel mare, usando il corpo di grossi pesci dai quali si faceva inghiottire, per uscire all’arrivo tagliandone il ventre.

La leggenda trae origine dal culto tardo pagano dei figli di Nettuno, ossia dei sommozzatori dotati di poteri magici, in grado di trattenere il respiro in apnea per poterne carpire i tesori e i segreti. Essi, accoppiandosi con misteriosi esseri marini (probabilmente le foche monache) e con l’aiuto della sirena Partenope, acquistavano tali poteri magici.

L’origine tardo pagana della leggenda è riportata da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane. Era documentata dalla presenza di un bassorilievo di epoca classica, rappresentante Orione, venuto alla luce durante gli scavi per le fondazioni del Sedile di Porto e murato nel settecento. Il bassorilievo rappresenta un uomo coperto da quello che sembra una pelle con un coltello in mano, l’arma usata per fuoriuscire dal ventre del pesce trasportatore.

14175150796_70a7444433_z

Nel 1936 Raffaele Viviani vi dedicò una poesia.

La leggenda siciliana

Nella sua versione più conosciuta, quella palermitana, si narra di un certo Nicola (Cola di Messina), figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua; di ritorno dalle sue numerose immersioni in mare si soffermava a raccontare le meraviglie viste e, talvolta, a riportare tesori.

La sua fama arrivò al re di Sicilia ed imperatore Federico II di Svevia che decise di metterlo alla prova: il re e la sua corte si recarono pertanto al largo a bordo di un’imbarcazione e buttarono in acqua una coppa che venne subito recuperata da Colapesce. Il re gettò allora la sua corona in un luogo più profondo e Colapesce riuscì nuovamente nell’impresa. La terza volta il re mise alla prova Cola gettando un anello in un posto ancora più profondo ed in quell’occasione Colaspesce non riemerse più.

La gente Cola pisci lu chiamava,
che comi un pisci sempri a mari stava,
d’unni vinia nuddu lu sapia
forsi era figghiu di Nettunnu diu.

Un ghiornu a Cola “u rre” u fici chiamari
e Cola di lu mari dda vos’iri
– O Cola lu me regnu a scandagliari
supra cchi pidimenti si susteni

Cola pisci curri e va’
– vaiu e tornu maista’
“ccussi’ si ietta a mari Cola pisci
e sutta l’unni subutu sparisci

ma dopu un pocu a sta’ nuvita’
a lu rignanti Cola pisci da’
– ….maista’ li terri vostri
stannu supra a tri pilastri

e lu fattu assai trimennu
una gia’ si sta’ rumpennu
– … O distinu chi “nfilici
cchi svintura mi pridici

chianci u re comu aia ffari
sulu tu mi poi salvari.
Cola pisci curri e va’
vaiu e tornu maista’.

E passaru tanti iorna
cola pisci non ritorna
e l’aspettunu a marina
lu so’ rre ccu la rigina.

Poi si senti la so vuci
di lu mari superfici….
– maista’… sugnu cca….
sugnu cca o maista’

nta stu funnu di lu mari,
ma non pozzu cchiu’ turnari
vui prigati a la Madonna,
staiu riggennu la culonna

ca s’idda si spezzera’
‘a Sicilia sparira’
maista’ o maista’,,,
maista’ iu restu cca.

La leggenda è stata trascritta e rielaborata da Italo Calvino.

Secondo la leggenda più diffusa, scendendo ancora più in profondità Colapesce vide che la Sicilia posava su 3 colonne delle quali una piena di vistose crepe e segnata dal tempo, secondo un’altra versione essa era consumata dal fuoco dell’Etna, ma in entrambe le storie decise di restare sott’acqua, sorreggendo la colonna per evitare che l’isola sprofondasse. Ancora oggi si troverebbe quindi a reggere l’isola.

Una versione catanese della leggenda vuole che il sovrano, interessato alla conoscenza del mondo e delle curiosità fenomeniche, chiedesse a Colapesce di andare a vedere cosa vi fosse al di sotto dell’Etna e farne testimonianza. Colapesce scese e raccontò di aver visto che sotto l’Isola vi fosse il fuoco e che esso alimentava il gigantesco vulcano. Federico ne chiese una prova tangibile, così il giovane disse che avrebbe fatto giungere al suo re la prova che desiderava, ma che sarebbe morto nel fargliela pervenire. Colapesce si tuffò con un pezzo di legno per non fare più ritorno, mentre il legno – che notoriamente galleggia – tornò in superficie bruciato.

Leonardo-Lucchi-Colapesce

Riferimenti

La fontana delle 99 cannelle in L’Aquila pare contenere un riferimento alla leggenda. Uno dei novantanove mascheroni che la caratterizzano rappresenta infatti un uomo con la testa di pesce, probabilmente un richiamo a Colapesce; tra l’altro il mascherone è l’unico posto in angolo, posizione dalla quale “controlla” l’intero monumento.

FontI: Wikipedia
http://www.tanogabo.it/colapesce.htm
http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5646