Gli alchimisti della Puglia: cucina e magia.

casurieddi

casurieddi

Ritengo che la cucina sia l’arte più vicina alla magia. Mi ha sempre affascinato quello che accade dentro una pentola, un tegame o una teglia. Mentre cucino, immagino a livello molecolare la combinazione di consistenze, gusti, sapori, odori, grado di umidità: atomi che si fondono, si uniscono o separano, si sovrappongono o rimangono distinti, ingredienti dominanti, spezie che esaltano, variano, completano.

Che poi se uno cucina senza dosaggi prefissati ma assaggiando e riassaggiando, modificando e calibrando di volta in volta il composto, uno stesso piatto è sempre diverso.

E se la cucina è magia allora chi cucina è lo stregone del momento – che poi non bisogna per forza essere chef premiati per saper cucinare. Diamine, procurarsi il cibo e cucinarlo sono state le attività prevalenti per l’essere umano da millenni. Se escludiamo gli ultimi 30 anni, dove il cibo lo troviamo bello e pronto da scaldare nel micronde – bleh! il cucinare, il cibo, la tavola sono elementi essenziali della vita.

E per me è così, quando cucino, con la musica a palla, 5 padelle, il tagliere, le insalate a bagno, il vino da stappare, i vapori, la luce e i colori mi sembra di entrare in trance. E quello che conta non è più la ricetta ma la passione che sposti nel piatto, l’immaginazione di quello che sarà e la creatività che ci dedichi, la voglia di soddisfare le aspettative degli ospiti, l’energia e la gioia che ci butti dentro, al pari degli ingredienti propriamente detti.
Sono lo stregone: la padella di alluminio è il pentolone, il coltello affilato (acciaio no ceramica, grazie) la bacchetta magica, l’intensità del fuoco è la forza misteriosa necessaria ad amalgamare la pozione e compiere la magia.

Pensateci bene. Avete una coppa … ci mettete della farina, che fisicamente è polvere … aggiungete acqua. Le vostre mani mescolano, stendono, stringono, amalgamano e ualà, la prima magia: una palla magica a cui potete dare la forma che desiderate. Aggiungete sale e lievito (lievito madre grazie). Attendere. Mettere in forno … e ualà, la seconda magia: pane profumato, croccante, caldo. Lo mangiate e l’energia vi ritorna.

Pensate alla cosa più stupida: i pop corn. Un chicco di mais duro. Aggiungete calore, Aggiungetene ancora. Ualà: un piacevole fiocco scrocchiante. Ogni volta che sono in pentola a saltellare mi soffermo su quello scoppiettio ed è sempre un mistero quella trasformazione.

Dire che la cucina italiana e il culto del buon cibo in Italia non hanno eguali nel mondo è superfluo. Provare a immaginare le storie nascoste dietro ogni piatto tipico, pietanza tradizionale, ingrediente IGT, vino, liquore … è un viaggio interminabile nel passato. Sono storie di contadini, di classi sociali, di invasioni, di guerre, di necessità, di invenzioni, di costume, di viaggi e scoperte.

Non posso però non partire dal parlarvi della cucina pugliese, per me ovviamente
la migliore. Perché la cucina è inevitabilmente storia, geografia, incontri, famiglia, amici e perché la cucina è anche memoria. Ricordiamo spesso non tanto l’oggetto del ricordo quanto le emozioni collegate a quel ricordo. E spesso quelle emozioni sono costellate da sapori e odori. E così la noce moscata non può che inevitabilmente riportarmi a mia madre, il sugo di carne della domenica a mia nonna, il suono del ghiaccio che ondeggia contro il vetro del bicchiere di vino – il primitivo, se vai oltre il bicchiere, conviene annacquarlo – a mio padre e così via.

Ricordo ancora perfettamente quando vennero a trovarci dei cugini americani. Pranzammo in un agriturismo di Martina Franca. Niente di trascendentale. Loro (gli americani) sembrava avessero un orgasmo dall’avidità con cui spazzolavano i nostri piatti più semplici e umili.

Bene, ritengo senza voler sminuire alcuno, che i pugliesi siano degli alchimisti della cucina, nella sua fase creativa, nella produzione di materie prime e nella loro trasformazione.

Prendete il grano. Secondo la leggenda il grano sarebbe nientemeno che il Vello d’Oro recuperato da Giasone. Non è un caso il colore del vello, non è un caso che Giasone per ottenerlo dovette soggiogare con l’aratro due tori sputa fuoco, dovette seminare denti di drago e poi falciarne il risultato.
Io dico a mio figlio, per invogliarlo a mangiare, che la pasta e il pane hanno il potere dell’energia gialla, quella che viene dal sole, trattenuta dalle spighe di grano (che sembra, data la loro forma, catturino simbolicamente proprio i raggi del nostro astro di riferimento).
Bene da questo elemento così importante e allo stesso tempo basilare le\i pugliesi (sto semplificando, non me ne vogliano le altre regioni), modificando le quantità, ci hanno fatto uscire fuori taralli, tarallini, fiselle di ogni forma e dimensione, puccie, il pane più buono del mondo, pasta, orecchiette, cavatelli, trofie, strozzapreti, strascinate, focacce, panzerotti. Viva il carboidrato. Sono stato all’estero, nell’est europa, e dopo un giorno senza pasta e pane mi sentivo svenire. Il corpo del meridionale medio necessita di grano, farina, carboidrati; è un metabolismo calibrato nei secoli dei secoli. Amen.

Prendete il latte della Murgia (lo so, lasciatemelo credere! … non arriva pure dalla Germania, lasciatemelo credere).
Lo prendono, ci aggiungono sale e caglio. Diverse gradazioni di calore, diversi tempi di mescolamento e ci fanno uscire mozzarelle, nodini, scamorze fresche, scamorze, provoloni, caciocavalli giganteschi, ricotta, stracciatella (misto pasta di mozzarella e panna – provatela), burrata. Formaggi freschi che rinfrescano il palato, non appesantiscono (a parte la burrata un pochino). Vere e proprie creazioni.

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Prendete le olive – perché la Puglia ha 60 milioni di ulivi, più di ogni posto del mondo, benedetti i greci e i bizantini – e ci fanno quell’elisir che è l’olio, emblema della dieta mediterranea, simbolo di una regione. Ma non solo: olive sotto sale, olive fritte, olive al forno, olive “alla calce” (quelle dolci e verdoni per intenderci), olive in salamoia. E decotti con le foglie di ulivo dalle proprietà antibiotiche. E con i rami della potatura i falò di S.Giuseppe, giusto per non buttare via niente, far festa, stare insieme, raccontarsi storie e danzare alla luce dei fuochi.
Gli ulivi in Puglia sono dei guardiani. Sono monumenti, nessun artista potrebbe riprodurne le linee, le forme e le evoluzioni. Alcuni ancora in piena produzione alla veneranda età di 3000 anni: più antichi del Colosseo.
Mi sembra che l’olio, come il vino sia il succo della terra. Quasi quasi come se questi alberi spremessero il terreno e ne facessero venir fuori l’essenza più autentica.
E con questo elisir in cucina amalgami, esalti, trasformi, soffriggi, salti, rosoli tutto il resto.

Non mettetevi mai a discutere con un pugliese di focaccia, mozzarelle e olio. S’incazza se lo contraddite.

E vogliamo parlare del primitivo? Il nome dice tutto.

E poi ci sono i prodotti che quella stessa terra ti dona: quel particolare microclima mediterraneo, la composizione chimica delle rocce e dei terreni, il tufo, l’argilla, la pietra; l’influsso dei mari che la circondano, la potenza del sole a quelle latitudini. E poi la storia: le contaminazioni arrivate nei porti, le invasioni, le regioni vicine, mille popoli che si susseguono, le donne e le loro creazioni dalla necessità, dallo stento.

E così vengono fuori i “casurieddi” o “cocomeri” o “barattielli” che dir si voglia. Che non esistono in nessun altro luogo al mondo.

O l’insalata di catalogne … non quelle spennacchiate, vuote, ma quelle piene, tutto cuore. E che per me non potevano essere ortaggi sconosciuti nel resto d’Italia.
E quei fichi, simbolo della fertilità, quelle ciliegie (le Ferrovia), l’uva da tavola. Che goduria.

Prendete le cozze di Taranto (Si sono inquinate e a noi piacciono così) o tutti gli altri mitili del barese. Irrinunciabili. Con la pasta, crudi, “impepati”, ripieni.

Prendete il diaframma con la cipolla rossa di Acquaviva, prendete i “gnummariedd”, le bombette, le fettine di cavallino, le “scorzette” con il nervetto (il controfiletto per gli italioti), il capocollo di Martina Franca. Piccoli capolavori di mastri bracieri. Che poi il macellaio più anziano d’Italia sta ad Altamura.

E poi le mille ricette, i mille piatti, le mille combinazioni.
Mi sa che ve le racconto un’altra volta. Decisamente mi è venuta FAMEEEEE!