Il Tao della liberazione.

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Parla Leonardo Boff. Che spiega cosa c’entrano con la Chiesa il Tao, Einstein e l’ecologia.

Francesco è più di un nome. È un progetto di una Chiesa e di un mondo, basato su dialogo, misericordia, tenerezza, sulla convergenza nelle diversità, senza la pretesa di possedere la verità assoluta… Lo dice, parlando di papa Bergoglio, il 75enne brasiliano Leonardo Boff. A volte, gli sconfitti tornano, riprendono la parola e si rivelano per quel che erano quando hanno subito la condanna del potere: anticipatori di messaggi di stringente attualità. È il caso, probabilmente, di Boff, appunto, uno dei principali esponenti della Teologia della Liberazione, il gruppo di sacerdoti che pensavano di unire il verbo di Cristo con il socialismo. Negli anni Ottanta Boff fu condannato dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, e minacciato di provvedimenti disciplinari dal pontefice Karol Wojtyla che nel 1992 lo costrinse a lasciare l’ordine dei francescani. L’occasione per questa intervista in cui Boff rivendica una continuità tra i teologi della liberazione e il pontificato di Bergoglio è la pubblicazione di un libro manifesto, “Il Tao della liberazione”, scritto assieme allo studioso canadese Mark Hathaway, in uscita da Fazi. Si tratta di un volume che spazia dalla filosofia alla fisica, dalla critica del pensiero occidentale all’appello ad amare di più e consumare di meno. La tesi principale: non esistono verità assolute, perché tutto il cosmo non è altro che un sistema relazionale. Tra poco, poi, sarà in libreria per i tipi di Chiarelettere, un altro libro di Boff, “Tra eresia e verità”: un’intervista condotta dallo psicoanalista Luigi Zoja.

Partiamo da papa Francesco: i suoi gesti e insegnamenti segnano la riabilitazione della Teologia della Liberazione?
«Papa Francesco viene da una chiesa, quella latinoamericana, schierata a favore dei poveri, e che aveva deciso di lottare per la liberazione degli umili e per la giustizia. Già in Argentina aveva dato un esempio personale di come mettere questa opzione in pratica quotidiana: si spostava coi mezzi pubblici, visitava frequentemente i quartieri poveri, le favelas, e non ostentava simboli di potere. Ora, da pontefice, ha ricevuto in udienza privata Gustavo Gutiérrez, uno dei fondatori della Teologia della Liberazione. Per me, è stato un gesto di riabilitazione. Lo stesso si può dire dell’incontro con Arturo Paoli, sacerdote italiano che oggi ha quasi 102 anni e che per 45 anni ha lavorato in America Latina, schierato con i teologi della liberazione, e che venne condannato a morte dai militari argentini. E non è un caso che il papa abbia scelto il nome di Francesco. Lo ha fatto per esaltare i valori evangelici del Poverello di Assisi».

Intanto, può spiegare ai più giovani, a coloro che non hanno ricordi di quegli anni, cosa era la Teologia della Liberazione?
«Noi che l’abbiamo elaborata, siamo partiti dalla constatazione che la povertà non è né naturale né innocente. È invece il prodotto di relazioni sociali ingiuste. Povertà è sinonimo di oppressione. La sfida per i cristiani è quindi la seguente: come si può affermare che Dio è un Padre buono in un mondo pieno di ingiustizia? La risposta a questa domanda è semplice: per predicare e annunciare un Dio buono si deve trasformare il male in bene. E per farlo bisogna tornare alla pratica di Gesù, all’invito rivolto agli oppressi a lottare per la liberazione. Ma attenzione: noi teologi siamo solo degli alleati, non i soggetti di questa liberazione. La liberazione deve essere una conquista dagli oppressi».

Vi hanno accusato di essere stati marxisti e non cristiani…
«Lo dicevano i dittatori militari, golpisti. In realtà Marx non è stato né padre né padrino della Teologia della Liberazione. Purtroppo il Vaticano ha dato più ascolto alla versione dei militari che alla voce dei vescovi locali. Adesso, con papa Francesco, la situazione è del tutto cambiata. Le critiche al sistema dominante sollevate dalla Teologia della Liberazione sono anche le sue. Ripeto, Bergoglio è un prodotto del clima culturale ed ecclesiale delle nostre chiese latino-americane».

Non sarete stati marxisti, ma vi hanno accusato di voler trasformare la Chiesa, da comunità spirituale e di fede, in strumento politico.
«È vero, abbiamo fatto del cattolicesimo uno strumento, ma uno strumento con un fine legittimo. Il nostro messaggio era il seguente: siamo eredi di un Gesù che non è morto a letto, vecchio, circondato dai discepoli. È morto invece giovane, nel mezzo di un doppio conflitto: religioso e politico. Il cristianesimo, per la sua natura intrinseca, è sovversivo».

Pensavate di poter davvero cambiare la Chiesa dall’interno?
«Io ci ho creduto. Per questo ho scritto il libro, condannato da Joseph Ratzinger, “Chiesa: carisma e potere”. Ancora oggi nella Chiesa i laici sono emarginati, le donne invisibili, il potere è concentrato in poche mani, ed è l’unica monarchia assoluta al mondo, cosa che rischia di renderla ridicola. Ma grazie a Dio papa Francesco sta riformando la Chiesa. E lo fa nella tradizione di Gesù: per cui il cattolicesimo è più un cammino spirituale che un sistema di dottrine e dogmi. Gesù non aveva intenzione di fondare una nuova religione: voleva creare un uomo nuovo e una donna nuova, persone solidali, compassionevoli e capaci di perdono. Per citare papa Francesco: la Chiesa non esiste per se stessa ma per gli altri. Aggiungo: di solito le chiese predicano la liberazione, ma sono gli altri a metterla in pratica. Speriamo che ora tutto cambi».

Vogliamo parlare dei suoi grandi nemici, Ratzinger e Wojtyla?
«Ratzinger è un tedesco, prodotto della guerra fredda e quindi anticomunista. Per questo ha trattato così duramente i teologi della Liberazione mentre aveva un occhio di riguardo per i discepoli di Lefebvre. Quando è diventato papa, io che lo conoscevo bene, ho provato pietà per lui. Persona molto timida, sentiva di non essere adeguato. E, alla fine, ha avuto il coraggio di dimettersi. Wojtyla invece ripeteva ai nostri vescovi: io so meglio di voi cosa è il comunismo. Però quando in Polonia il comunismo è stato sostituito dal liberismo selvaggio, ha avuto la prontezza di spirito per dire agli ecclesiastici brasiliani: bisogna conservare il senso di solidarietà e di internazionalismo che aveva il comunismo».

Forse lei sottovaluta il male intrinseco del comunismo. Nel suo libro “Il Tao della liberazione” a un certo punto dice che il socialismo reale dava qualche speranza. Ma che speranza poteva dare un sistema basato sull’oppressione e sulla menzogna?
«Il male intrinseco, io lo vedo invece nel capitalismo. Sono ciechi coloro che non percepiscono la sua realtà perversa, materialista e nemica della vita. Oggi abbiamo a che fare con una crisi ecologica che minaccia la stessa continuità della vita sulla Terra. Questa crisi è conseguenza della voracità del capitalismo. E per rispondere alla sua domanda: certo il socialismo reale era un sistema di oppressione e ha causato molte vittime. Però, la speranza che suscitava il marxismo era in fondo questa: la possibilità di costruire un mondo diverso da quello capitalistico”.

Infatti, sempre nel “Tao della Liberazione” viene proposto un nuovo modello di vita e di società.
«Il libro è frutto di 13 anni di intenso lavoro. Per me è la punta di diamante della Teologia della Liberazione. Io e il coautore Mark Hathaway, abbiamo capito che la logica dello sfruttamento delle persone è la stessa che devasta la natura e la Madre Terra. Siamo partiti dall’idea che bisogna ricominciare da Einstein, dalla fisica quantistica, dalla biologia, antropologia e ecologia, per parlare della complessità del mondo e di come gli umani possano stare in questo mondo. Pochi teologi hanno portato avanti questo tipo di discorso perché esso presuppone letture e fonti di sapere fuori della formazione classica».

Proponete di tornare alla sapienza antica, fate una critica radicale alla razionalità di stampo occidentale. Ma una volta tolto il discorso razionale, cosa ci rimane?
«Io non faccio una critica alla razionalità moderna ma alla dittatura di questa razionalità che è diventata irrazionale. Con la razionalità moderna abbiamo fatto dei miracoli, prolungato la vita degli umani e siamo arrivati sulla Luna. Ma allo stesso tempo abbiamo creato macchine di morte con armi chimiche, biologiche e nucleari in grado di distruggere la vita umana in 25 forme differenti. La Ragione è stata utilizzata per sfruttare la Terra fino al punto in cui rischiamo di distruggere le basi stesse della vita sul Pianeta. Ecco perché occorre aggiungere a questa razionalità, quello che io chiamo l’intelligenza emozionale. È nell’intelligenza emozionale, nella nostra sensibilità il luogo dei valori, dell’etica e della spiritualità. Abbiamo bisogno, come dice papa Francesco, di una rivoluzione della tenerezza. È la tenerezza, l’arma efficace contro il potere dominante».

Pensa davvero che una volta raggiunto il benessere materiale la gente sia disposta a rinunciarvi per una decrescita felice? Non vede che la gente preferisce stare male nelle metropoli pur di fuggire da quello che Marx chiamava «l’idiozia della vita rurale»?
«La nostra cultura è così pervasa da una visione materialista che sarà molto difficile cambiare strada con la sola forza delle parole. Sono convinto che siamo alla vigilia di una catastrofe ecologico-sociale. Heidegger, poco prima di morire, ha detto: “Solo un Dio può salvarci”. Si attribuiscono a Hegel queste parole: “L’essere umano impara della storia che non si impara niente dalla storia. Però si impara tutto dalla sofferenza”. Ma io preferisco il Sant Agostino delle Confessioni, che diceva che l’essere umano impara da due fonti: dalla sofferenza e dall’amore. Dobbiamo amare molto la Madre Terra per salvarla».

Fonte:
http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recensione.asp?id_contenuto=3752402